04/10/2022

SAINT OMER di Alice Diop

Rama (Kayije Kagame) un’importante giovane scrittrice senegalese, docente di lettere all’università, decide di raggiungere la località di Saint-Omer nella regione dell’Alta Francia per assistere nel tribunale della città al processo che vede imputata una ragazza di colore, Laurence Coly (Guslagie Malanda) accusata di aver ucciso la figlia di quindici mesi: l’ha abbandonata sulla spiaggia per essere portata via dall’alta marea.

Non c’è un legame tra le due donne; solo un interesse da parte di Rama alla vicenda di questa ragazza (forse per farne l’argomento del suo prossimo libro) per comprendere, attraverso il dibattimento, il motivo di questa suo atto estremo. La ragazza, attraverso le domande del giudice, una donna che si rivolge a lei con gentilezza e attenzione, racconterà la sua estrazione sociale e il quadro famigliare nel quale è vissuta.

Laurence si esprime bene, ha anche frequentato l’università e nel suo racconto descrive un quadro nel complesso sereno, con una famiglia immigrata in Francia, con una madre che si è sacrificata per crescere lei e le sue sorelle. Fino a quando non ha conosciuto un uomo più anziano di lei, all’inizio protettivo, sposato e con una moglie molto malata; i due hanno avuto una relazione. Quando ha scoperto di essere incinta, dopo aver informato il suo amante che il bambino era suo, ha deciso di non abortire; allora l’uomo l’ha lasciata. Sola, senza nessun appoggio, come una versione moderna della figura epica di Medea ha così deciso allora di sacrificare la propria figlia.

Questa vicenda creerà un turbamento nelle certezze della scrittrice, poiché anche lei è in attesa di un figlio dal suo compagno. Un legame di solidarietà femminile e di partecipazione avvicina le due donne, unite dal senso di maternità e dal colore della pelle. Gli uomini invece, a cominciare dalla figura dell’amante, chiamato a testimoniare, non fanno una bella figura.

La regista documentarista Alice Diop, vincitrice di premi importanti con i suoi lavori dedicati all’immigrazione e alle proprie radici, qui al suo primo lungometraggio (scritto con Amrita David e Marie Ndiaye) si ispira a un vero processo al quale ha assistito e che l’ha colpita profondamente. Tutto si svolge in un’aula di tribunale, ma è il racconto e il volto dolente della ragazza a dare alla vicenda un senso di partecipazione. Al film è stato assegnato il Gran Premio della Giuria di Venezia 79 e il Leone del Futuro – Premio Venezia Opera Prima “Luigi de Laurentiis”.

Andrea Curcione