29/09/2022

Bardo (o falsa crónica de unas cuantas verdades) di Alejandro González Iñárritu

Alejandro González Iñárritu è uno dei registi più acclamati degli ultimi tempi, vincitore di importanti premi, fa parte di quel trionfante trio di cineasti messicani, quali Alfonso Cuarón e Guillermo del Toro, che si appoggiano tra loro e che hanno saputo fare un salto di qualità pur stando fuori dal loro paese di origine. Ha lavorato assieme a molti talenti tra cui sceneggiatori come Guillermo Arriaga, musicisti, fotografi, attori e attrici di spessore e di grande fama. 

Con Bardo (o falsa crónica de unas cuantas verdades), film in concorso a Venezia 79, prodotto e distribuito da Netflix, Iñárritu mischia sogno, realtà e critica; ci mette tutto. Il suo racconto lo fa attraverso il personaggio di un giornalista messicano con residenza negli Stati Uniti, interpretato dallo straordinario Daniel Giménez Cacho, attore di cinema, teatro e televisione, dotato di una grande presenza scenica, che lo spettatore segue per tutta la durata del film.

Come la gran parte dei lavori di Iñárritu, l’opera inizia e chiude nello stesso punto, e nel mezzo, c’è la storia di questo giornalista che diventa popolare per via dei documentari che realizza. Molti lo amano, ma altrettanto molti lo criticano per essere andato via e perché anche se da un lato fa conoscere le dimensioni più critiche e dure del Messico attuale, dall’altro, lui vive nel lusso.

Mentre si percorre questa trama, si entra contemporaneamente in un mondo onirico con cui si continua a conoscere il personaggio anche nei lati non pubblici, ma più intimi: ha due figli adolescenti con cui dialoga e una moglie, e ha perso un bebè con appena un mese di età, situazione che viene mostrata in modo alquanto particolare perché questo bambino nasce, ma dopo il parto, rientra nella vagina della madre.

In Bardo, molte delle visioni potrebbero sembrare surreali, ma accadono davvero nella quotidianità del Messico o nella vita di quelli che provengono da quella cultura, ad esempio: i pesci strani che sembrano delle salamandre, sono conosciuti con il nome nahuatl di axolotl, ed esistono davvero sin dai tempi degli aztechi; le gambe della donna che levitano, può capitare di vederle, oppure che si dica che un morto venga a prenderti dai piedi di notte, è una storia tramandata che succede ancora adesso a molti.

Iñárritu raduna tutti questi aneddoti nel film e li alterna alla sua critica o revisione della storia messicana con diverse scene, alcune di esse, ricordano lo stile del regista italiano Federico Fellini perché sono grottesche, sognanti e anche mirabolanti.  Due possono essere citate, quella con i cosiddetti Niños héroes, bambini che fecero parte della Battaglia contro l’esercito statunitense nel 1847, presso il Castello di Chapultepec, o la scena del dialogo tra il protagonista e il conquistatore Hernan Cortés, sopra gli indigeni morti posti a forma di un cono che rimanda all’inferno dantesco.

In sala Bardo è stato molto applaudito, ma non del tutto capito, è probabile che il pubblico e la stampa non abbiano una conoscenza approfondita del Messico per comprendere interamente questo recente lavoro di Iñárritu, ma il linguaggio del cinema è pur sempre universale e comunque si può essere aperti e curiosi a nuove narrazioni, a nuove o diverse dimensioni, è per questo che i festival sono internazionali e interculturali, o no?         

Blanca Estela Rodríguez

Corrispondente estero. Italo messicana