19/09/2022

Pillole della Mostra di Venezia – 2. Parte

Blanquita: interpretazione intensa della protagonista. Quanto fa male la violenza sui minori, quanto è distruttiva! Tale da rendere i minori violati, fragili e persi, come animali braccati, prigionieri permanenti del male subito. I più diventano incapaci di riscattarsi per paura di perdere la vita, quel poco di vita a cui si aggrappano deboli speranze di un futuro migliore.

Non basta un’anima affranta e determinata a tirarli fuori dal baratro giornaliero, né un luogo sicuro, tra mura senza finestre, a garantire un minimo di sopravvivenza dignitosa. Perché ciò che sta fuori li ha già marchiati e condannati definitivamente. Ma tra questi esseri “maledetti” c’è un angelo dal profilo di una giovane ragazza che cerca e vuole giustizia, a modo suo, ma sempre giustizia. E non solo per sé stessa, ma per tutti i suoi compagni e compagne di viaggio, che hanno avuto la sfortuna di incontrare un adulto stupratore.

Tra violenze vere oppure immaginate il riscatto trova nella vendetta il modo di farsi strada; lei giustiziera sogna, desidera intensamente vedere il suo carnefice tra le sbarre. Le fanno da cornice una massa di testate mediatiche: pronte ad innalzarla vittima, le stesse poi a gettarla nel fango, colpevole! Ma anche quando tocchi il fondo, riappare la dignità, che ti fa resistere a strane lusinghe, che ti fa lottare e soffrire per la verità ed ottenere la giusta giustizia, anche se la strada è in salita e perigliosa e si ritorna in carcere.

La syndacaliste: interpretazione splendida della protagonista. È una forza della natura che si muove con competenza e coraggio sapendo che intorno a lei c’è il vuoto, violenza verbale e psicologica, anime votate al Dio denaro e al potere ad ogni costo, tanto da calpestare legittime aspirazioni di lavoratrici e lavoratori coscienziosi ed onesti. A questo si aggiungono in un primo tempo disattenzione familiare, persone dall’amicizia ambigua, interessate più alla propria carriera che alla giusta causa, poi superficialità nelle indagini segnate più da pregiudizi culturali che da corrette modalità investigative.
Ma anche qui, quando tutto è perduto e sembra non aver senso vivere, la vicinanza dei più cari affetti familiari con tutti i loro difetti, debolezze e diversità, che si fanno squadra per la legalità e la giustizia, riescono a squarciare l’omertà sulle verità nascoste, sulla negligenza delle istituzioni, sulle colpevoli azioni di  uomini disonesti, per riaffermare con forza la dignità della persona, il diritto al lavoro, il legittimo risarcimento, il giusto riconoscimento economico nell’ambito lavorativo.

Monica: film dalle inquadrature, dai dialoghi lenti, dove sono i silenzi e gli sguardi, le piccole attenzioni, le paure dei nuovi contatti e riavvicinamenti ad aprire lentamente al riconoscimento della diversità e dei cambiamenti fisici, necessari per affermare di essere un’altra persona rispetto a quella determinata alla nascita. Ma, se da una parte si intuiscono il rifiuto, l’allontanamento da casa o forse la fuga perché la mente non consente di accettare, né platealmente né nascostamente, di aver concepito un diverso: inaccettabile.
Lentamente e faticosamente si fa strada il sentimento profondo e sempre più convinto dell’accettazione che si mostra con poche ma intense carezze filiali, accenni a ricordi di famiglia, abbracci timorosi di perdersi nuovamente, giochi e risate di bimbi, che aiutano a stringere ancor più i nuovi rigenerati legami familiari, ora rifugio sicuro.

Delia Strano