29/11/2021

THE POWER OF THE DOG di Jane Campion

Era dal 1999 che la regista neozelandese mancava dalla Mostra del Cinema di Venezia. Quell’anno, reduce dal successo dei suoi precedenti lavori come “Un angelo alla mia tavola” (1990) vincitore del Leone d’Argento al Lido e poi “Lezioni di Piano” (Palma d’Oro a Cannes nel 1993; la prima regista donna a ottenerlo), e il successivo “Ritratto di signora” (1996), aveva presentato “Holy Smoke – Fuoco Sacro”, la storia di una ragazza (interpretata da una giovane Kate Winslet) che dopo un viaggio in India aveva fatto perdere le sue tracce per aggregarsi ad una setta. Non era stato uno dei migliori film della Campion, tuttavia quell’opera non le aveva scalfito la sua fama, questo perché nei suoi film aveva sempre cercato di esplorare la complessità del mondo femminile.

Dopo la realizzazione di altri due lungometraggi, un noir a tinte erotiche (“In the Cut”, 2003), il film in costume “Bright Star” (2009) e una serie televisiva (“Top of the Lake – Il mistero del lago” 2013-2017) la Campion ha ora presentato a Venezia in Concorso il suo ultimo lavoro: “The Power of the Dog”.

La storia, tratta dall’omonimo romanzo dello scrittore Thomas Savage (pubblicato in Italia da Neri Pozza) racconta di due fratelli cowboys, Phil e George Burbank, che nello stato del Montana degli anni Venti gestiscono il grande ranch lasciato in eredità dai loro genitori; I due hanno caratteri molto diversi: Phil, il più grande (interpretato dall’attore Benedict Cumberbatch) si dimostra rude e crudele, George (Jesse Plemons) invece è più impacciato, mite e di buon cuore.

Quest’ultimo ha un debole per la bella vedova Rose (Kirsten Dunst) che gestisce con suo figlio Peter (Kodi Smit-McPhee) una locanda non molto distante dai loro possedimenti e le dichiarerà il suo amore. Lei accetta la sua corte, ma quando il fratello esporrà l’idea del fidanzamento a Phil, suo fratello la prenderà molto male: non accetterà che un’intrusa entri a vivere nella loro casa e farà di tutto per boicottare la loro storia, coinvolgendo anche il figlio di Rose, un ragazzo dall’animo sensibile e appassionato di studi di medicina.

Il film, girato quasi interamente in Nuova Zelanda a causa della pandemia, gode di una buona recitazione e in certi momenti richiama le suggestive atmosfere de “La valle dell’Eden”. Tuttavia nel suo svolgimento si dimostra un po’ lento e con un finale debole e un po’ scontato. Il film è stato premiato a Venezia con il Leone d’Argento per la Miglior Regia. Venezia porta fortuna a Jane Campion.

Andrea Curcione