08/11/2023

LOVE IS A GUN di Lee-Hong-chi
Quando l’acqua non redime dal peccato

Un confine intangibile quello che impedisce al petrolio di mischiarsi con l’acqua. Allo stesso modo, Sweet Potato (con il taiwanese Lee Hong-chi protagonista e regista) è incapace di immergersi nella propria vita, rimane ai margini, la osserva accadere mentre si muove come un burattino nelle mani di un destino che lo comanda. Come la corrente del mare, il passato torna a riva e il tentativo di costruirsi un futuro vendendo ombrelloni sulla spiaggia viene travolto dalla risacca a cui è impossibile andare contro.

Love is a gun, Leone del Futuro – Premio Venezia opera prima “Luigi De Laurentiis”, si ispira a un evento di cronaca: Taipei, un diciottenne estrae una pistola in pubblico e apre il fuoco. Quanto sia difficile divincolarsi dai fili della famiglia, della società, del lavoro, lo sa soprattutto chi esce di prigione e si ritrova a fare i conti con un mondo che nel frattempo ha superato persino una pandemia.  

La pioggia ingrigisce lo sfondo in camera e lo smog appanna il cielo di Taiwan. Neanche il mare è rasserenante: non mille sfumature di blu che brillano riflettendo la luce del sole, soltanto una distesa infinita di grigio. Poi il rosso. Il rosso del vestito di Seven, una ex fidanzata mai completamente dimenticata che scaglia addosso a Sweet Potato i soliti problemi del passato, il rosso dei fuochi d’artificio, il rosso che macchia la camicia di chi viene colpito da un proiettile. È un’esplosione contenuta, prevedibile e annunciata: la colonna sonora, composta dal tastierista della band di cui lo stesso Lee Hong-chi fa parte, segue questo tracollo.

Con un investimento produttivo limitato, forzatamente limitato a causa del periodo in cui il film è stato girato, il regista è riuscito a riportare sullo schermo un’atmosfera da noir esistenziale, che ammicca allo stile francese della Nouvelle Vague e che si chiude con un omaggio al Francoise Truffaut de I 400 colpi.
È un film che non insegna niente, che – anzi – racconta quello a cui nessuno vuole credere: la criminalità nega la redenzione e lo fa con un’eleganza poetica inconsueta.

Francesca Schinzani e Rossella Grosso