02/10/2017

Marvin di Anne Fontaine

Marvin Bijou vive la sua infanzia in una gabbia di silenzi e disperazione, vessato nell’identità del suo intimo dal machismo bullista del conformismo provinciale, dove Marvin è un outsider, una minoranza da estirpare. Oppresso dai suoi coetanei e dalla rude indifferenza domestica genitoriale, vivrà una nuova socializzazione primaria grazie all’intervento di tre dei ex machina: la preside della scuola media, che lo introduce al mondo del teatro e all’acquisizione degli strumenti espressivi che faranno di Marvin una vera opera letteraria; il suo mentore, nonché insegnante di recitazione parigino, che infonde in lui il coraggio necessario affinché possa raccontarsi sul palcoscenico; e l’attrice Isabelle Huppert, stakeholder del suo progetto scenico.

Passo dopo passo Marvin apprenderà la maschera drammaturgica come strumento di rinascita, di riconciliazione con il passato e disvelazione del sé, portando in scena, nel suo primo monologo, l’essenza della propria identità sociale, umana e sessuale. La regista Anne Fontaine, reduce dall’ottimo riscontro ottenuto con Agnus Dei, sviluppa una narrazione che, ricalcando gli stilemi del romanzo di formazione, manca di guizzi creativi e inventiva. Il tentativo di originalità nella messa in scena è tutta riposta nella costruzione di differenti piani temporali, in un montaggio dove l’introversione e il disagio del primo Marvin si alternano alla costruzione sapiente di una maturità che provi ad armonizzare l’inquietudine del protagonista verso il dna del proprio orientamento sessuale.

Ma tutto questo non sembra essere sufficiente a riscattare una pellicola incapace di insediarsi sottopelle, di rendersi indispensabile e di emergere rispetto a quanto già visto e già raccontato innumerevoli volte sul grande schermo.

Annarita Mazzucca