12/09/2013

Gravity di Alfonso Cuarón

Quest’anno la Mostra di Venezia è partita con novanta minuti da perderci il fiato. Senza i supplementari ma tutti giocati in asfissia. E’ l’ultima pellicola girata da Alfonso Cuarón, regista messicano a cui fin da piccolo sta a cuore l’astronomia e più precisamente la storia delle spedizioni nello spazio.
Gran parte del film lo fa un cast di tutto rispetto composto da Sandra Bullock (la dottoressa Ryan Stone) e George Clooney (Matt Kowalsky), due astronauti in missione per riparare lo Space Shuttle. Sul grande schermo si impongono in 3D i loro corpi avvolti nella tuta spaziale dai lenti movimenti, ma soprattutto la loro voce che riecheggia nel cosmo in dialogo con la voce di controllo missione (Ed Harris), mentre sullo sfondo lo spettatore si gode una mirabile veduta sul pianeta Terra in computer grafica.
Durante la sua prima uscita spaziale per l’ingegnere biomedico Stone c’è anche tempo per pensare alla sua vita o meglio a ciò che manca dalla sua vita, una figlia morta ancora infante. La missione fallisce a causa dell’impatto dello Shuttle con una tempesta di detriti di un satellite e tutto l’equipaggiamento muore, tranne la dottoressa. Per tornare sul pianeta Terra non resta che lottare per la vita o la morte, trovando soluzioni ai limiti dell’impossibile.
Il film regge fino a tre quarti ma dopo l’uscita onirica di Clooney che riappare in sogno alla Stone mentre in preda allo sconforto è decisa a farla finita sulla navicella cinese Shenzhou che ha raggiunto dalla stazione russa, perde di credibilità innescando una serie di triti cliché dei film di azione in salsa fantascientifica.
Il glorioso happy end finale, stucchevole ed eccessivo, corona il finale a stelle e strisce di questo blockbuster spaziale.

Michela Manente