26/09/2024
Russians at war di Anastasia Trofimova
Ed ecco il dipanarsi di alcune vicende come quella delle ragazze che si arruolano un po’ per idealismo, ma forse,
anche per sentirsi finalmente valorizzate. La consapevolezza da parte di uno dei soldati in congedo che tornerà al fronte per una sorta di “dipendenza dalla guerra” è emblematica. La guerra, per quanto orribile, è pur sempre un’esperienza adrenalinica, in grado di creare un senso di intimità che neppure la famiglia riesce a sostituire. Il bisogno di “emozioni forti”, la sensazione di far parte di un “progetto condiviso” è alla base dell’adesione alla vita militare e anche i soldati russi paiono non sfuggire a questo richiamo.
Il fatto che il conflitto venga dichiarato come sostanzialmente inutile, come qualcosa in cui non si sa più chi abbia ragione, rafforza il senso di spaesamento collettivo, ma non risolve la questione. Questo è probabilmente il messaggio più interessante che emerge dal documentario: i ragazzi partono il più delle volte per denaro (anche se poi veniamo a sapere che non ricevono lo stipendio da mesi), talvolta per sincero patriottismo o magari anche per noia.
Nel documentario alcuni volontari si lamentano della situazione confessando che, se avessero saputo la tragicità della situazione, non sarebbero mai partiti. Poi ci sono quelli, e sono la maggioranza, che sono stati costretti ad arruolarsi perché non avevano le risorse per scappare all’estero, ma ci sono anche quelli che decidono di restare, come la giovane coppia che si incontra al fronte e decide di sposarsi. Le motivazioni possono essere diverse, quello che emerge è una narrazione della Guerra in senso ampio e vista da una prospettiva insolita che mette in scena l’elemento grottesco che sottende tutti i conflitti. La guerra intrapresa inizialmente quasi per gioco come “esperienza estrema da condividere” diventa la viscida tela di ragno nella quale tutti restano intrappolati.
Sarah Revoltella