04/10/2022

Intervista a Fernando Guzzoni regista di Blanquita

Originario di Santiago di Cile, Fernando Guzzoni, sta lasciando la sua impronta ovunque vada, è al suo terzo lungometraggio e a casa porta sempre un premio, anche alla 79. edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha trovato il consenso della giuria della sezione Orizzonti, dove ha vinto il Leone alla Miglior Sceneggiatura per il film Blanquita, produzione del 2022. 

Guzzoni ha una lunga esperienza in ambito cinematografico, però come autore ha cominciato con il documentario La Colorina che comprende le conversazioni con diversi personaggi del Cile intorno ad una figura magnetica e controversa come lo è stata, la poetessa Stella Díaz Varín. Questo lavoro ha partecipato in più di 20 festival internazionali e gli è valso il Premio alla Miglior Regia al Sanfic e il premio al Miglior Film al Festival del Cinema Latino-americano di Trieste, in Italia. 

BER.- In tutti i tuoi lavori tratti argomenti che hanno a che fare con la giustizia sociale, dai dignità al vero personaggio e lo collochi nella sua giusta dimensione. L' hai fatto con il documentario di Stella Díaz, lo fai ora con Blanquita, che puoi aggiungere a riguardo?
FG.- Credo che quello che c’è dietro la costruzione dei personaggi dei miei film è che non possono essere interrogati da una logica dicotomica o bianco e nero. Mi interessa la complessità dell’essere umano, quello che c’è dietro e questo incrocia, stabilisce paradossi, contraddizioni, e scomoda etica e moralmente e questo è, almeno per me, il cinema. Non mi piacerebbe creare personaggi che sono vittime o buonisti né semplici carnefici. Credo che ci sia una struttura molto più complessa negli umani. 

BER.- I tuoi progetti non solo li hai diretti, li scrivi. Cosa ti muove a trattare un tema? Che ti spinge? 
FG.- Credo che sempre dietro un film ovviamente c’è un’ossessione, però soprattutto, un elemento che mi scomoda, e quell’elemento che mi scomoda deve protrarsi nel tempo. In questo e negli altri film, è successo questo, il fatto di protrarre questa ossessione, ti porta a scavare, e vai ad approfondire ed a trovare più tensioni, più complessità e ottiche diverse, dove puoi riflettere o fare una domanda. L’idea è quella di non fare film pedagogici, ma di costruire con un granello di sabbia il pensiero critico, la discussione, ovviamente senza la pretesa di cambiare tutto, non ho quella pretesa, però sì di contribuire a pensare e pensarci, di tornare a guardare.  

BER.- Andando alla preparazione di quello che era il progetto. Desidero scavare di più nel tuo processo creativo, ossia, come lavora il regista Fernando. Come hai costruito il personaggio di Blanquita?
FG.- La prima cosa era pensare se c’era una donna o una giovane che non doveva essere santificata né purificata. Ammiro molto un’attivista spagnola, Clara Serra, che è scrittrice ed è anche stata deputata di Podemos; lei dice che una delle cause, o una delle lotte del femminismo è quella di indicare che le donne non necessariamente debbano essere buone, e che c’è una costruzione patriarcale che le rende pure, le santifica e le vede come buone, come se le donne non potessero avere desideri, contraddizioni, sempre sono viste come la mamma, come la puttana, come la santa, e dunque, mi sembrava interessante costruire un personaggio, che anche se fosse alla ricerca della dignità e della giustizia, altrettanto fosse una donna bisognosa, con una figlia, precaria economicamente, e che al contempo, costruisse un’identità in mezzo alla sua tragedia. Semplicemente volevo costruire un essere umano complesso, quello era il mio spirito.
Altrettanto, volevo un personaggio dove ci fosse una duplice sanzione. Da una parte, quello che avesse a che fare con il delitto formale, ossia, la falsa testimonianza, e dall’altra, la sanzione sociale per il fatto di aver mentito, che il più delle volte, pesa sulle donne e non sugli uomini. Dunque, volevo costruire un’eroina con una doppia morale che andasse alla ricerca della giustizia e che diventasse la voce di quelli che non ce l’hanno, volevo quell’elemento sovversivo a cui non ero disposto a rinunciare. 

BER.- Parliamo del viaggio che stai facendo. Da La Colorina, un documentario che ha riscosso molto consenso, poi i successi e ora il tuo arrivo qui a Venezia? Che è cambiato in Fernando? Cosa è rimasto? 
FG.- Io non sono molto dogmatico con il mio modo di guardare il cinema o il mondo. Credo che il bello stia nell’esplorare e ripensarsi. Però ovviamente c’è un comune denominatore nel mio lavoro e ha a che fare con certe ossessioni che si ripetono che, come ti dicevo all’inizio, hanno a che fare con il rovescio delle cose, ossia, che cosa propone l’ufficialità, che propone l’establishment, e che c’è dietro a questo, e queste sono zone un po’ scomode, però è quel che mi interessa, e vedere come uno dialoga con un fatto reale e come costruisce un’utopia personale su questo, che a volte, viene a rimuovere un po’ le cose o a mischiarle; è questo che è rimasto in me. 

BER.- Il salto del documentario al lungometraggio. Dove ti senti più comodo?
FG.- Blanquita è il mio terzo lungometraggio di finzione, la verità è che mi sento più comodo nella finzione che nel documentario. Il documentario, diciamo, è stato il mio primo modo di raccontare una storia, però ora farò un altro film che altrettanto è finzione e sto lavorando anche in altri progetti e non sono più tornato al documentario. Mi sento bene in questo genere.   

Blanca Estela Rodríguez
Corrispondente estero. Italo messicana