25/10/2021

Il capitano Volkonogov è scappato regia di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov

Ci riporta agli anni Trenta del 1900 questo film presentato in concorso alla 78° Mostra internazionale del cinema di Venezia. "Il capitano Volkonogov è scappato" è una storia ambientata a Mosca quando il clima di terrore che pervase il paese, e in particolare le grandi città, portò alla morte più di 350.000 cittadini sovietici rei di aver tradito gli ideali della rivoluzione. Definito anche come quello delle "purghe staliniane" la Russia trovò una sua riappacificazione solo molti anni dopo.

Dietro alla macchina da presa due registi (e coniugi): Natasha Merkulova e Aleksey Chupov per questo lavoro che non mancherà certo di suscitare qualche perplessità e polemiche tra quanti si attendevano nuove verità dopo che molti documenti, riferentesi ai fatti di allora, sono stato desecretati. A cominciare dalla narrazione, fin troppo moderna condotta con ritmi da videogame dove, già nelle immagini iniziali, il ritmo quasi frenetico fa da sfondo alle sgargianti divise rosse degli agenti del servizio di sicurezza nazionale che sembrano le uniche al loro posto rispetto ai colori dismessi del resto della popolazione moscovita.

Ma procediamo con ordine. Nella caserma dove vive il protagonista la vita è un'altra cosa, cadenzata dai ritmi e dalle regole imposti dalla terrificante logica della macchina giustiziatrice che elabora sentenze e condanne a morte per tutti coloro che sono stati accusati di tradimento o spionaggio nei confronti dello stato e della rivoluzione. Fedor Volkonogov, il capitano di cui si racconta la storia, ha il cranio rasato, muscoli d'acciaio, un atteggiamento fiero. E' pure un torturatore freddo ed impassibile che non ha dubbi su quello che fa.

I tipi come lui non possono che essere così, senza un'anima, né ripensamenti per quello che hanno fatto e faranno. Ma è solo apparenza. Le immagini che precedono il suicidio di un suo amico, che gli predice i tormenti dell'inferno, lo sconvolgono. In un battibaleno mette in atto una fuga dalla caserma dopo aver sottratto un elenco contenente i nomi e gli indirizzi delle famiglie di molti condannati, ignare della sorte toccata ai loro parenti. Solo raggiungendole potrà arrivare a quello che gli sembrerà la sua personale redenzione.

Ma a ben vedere questa sua fuga, sempre tenuta su livelli di assoluta credibilità, assomiglia più ad una via crucis in salsa moderna fatta su un percorso che ricorda certi videogiochi, dove non mancano le pistolettate, le rincorse dentro a fatiscenti palazzi con finestre che portano lungo cornicioni e questi verso tetti da dove scendere poi per un'altra improbabile salvezza. Nemmeno avvertisse che il tempo che gli rimane è poco, Volkonogov vuole raggiungere quante più famiglie sono presenti nell'elenco e chiedere scusa a nome dello Stato per l'assurdità delle morti provocate di cui anche lui si sente responsabile. Un percorso che lo riporta alla vera dimensione della città che vive in uno stato di degrado, reso più evidente dalla miseria della gente. L'inseguimento messo in atto dagli ufficiali suoi colleghi culminerà con la sua morte dopo che, nelle sequenze precedenti, un dirigibile che volerà sopra al cielo della capitale, gli apparirà come il mezzo di trasporto verso una gloria che immaginerà conquistata dopo aver espiato le sue innumerevoli colpe.

Il "bello" di questo film sta forse nei contrasti delle sue ambientazioni, nel movimento continuo della cinepresa, dove all'azione di uomini che davano la morte, c'è il contrasto con il divertimento di un balletto dove gli stessi ufficiali sembrano far parte del corpo di ballo del Bolshoi. Grande prova di Yurj Borisov (Capitano Volkonogov) che si carica sulle spalle, come un moderno Gesù, la croce dell'intera narrazione. Fino alla sua morte.

Massimo Rosin