05/10/2020

LE SORELLE MACALUSO di Emma Dante

Buio. Il primo lucore filtra dal buco nel muro (viene da pensare a Le trou dans le mur di Michel Tremblay) attraverso il quale le cinque sorelle osservano l’esterno. Ma è un chiarore parziale in una stanza in cui prevale l’assenza di luce. In un secondo momento, viene svelata la soffitta dell’appartamento, situato nella periferia palermitana, in cui un via vai di colombe bianche rievoca la prima inquadratura di Sharuna Bartas con il suo Namai (1997), quando il regista lituano posiziona del tulle su un volatile, al centro dello spazio, con accanto una foto di famiglia su una parete in rovina.

Questi tre elementi del ‘quadro’, costituiscono le linee portanti del film della Dante. Le colombe nella soffitta, vendute dalle ragazze, adempiono a una loro funzione cerimoniale. La parete in decadenza caratterizza l’immaginario dell’intero spazio abitativo che è velatamente fatiscente e, allo stesso tempo, carico di oggetti d’ogni tipo, nei cui dettagli va ricercata la storia personale della famiglia. Il film si muove su tre livelli temporali, intersecando in modo altalenante passato, presente e futuro perché non è importante la continuità quanto la partecipazione emotiva. Tra le sorelle, nel corso della vita, rappresentata in tutte le fasi d’infanzia, età adulta e vecchiaia, si alimenta il non detto, una disputa silente, generata da un dramma che le vede coinvolte e che implode nelle proiezioni di Pinuccia da grande (Donatella Finocchiaro) quando rivede la sorellina scomparsa ed esplode nella furibonda lite in casa durante una cena che serviva per permettere a Maria (Simona Malato) di confessare la sua malattia.

La casa diventa quindi, come già ha sapientemente evidenziato Bachelard, archetipo dell’inconscio ma soprattutto nido e rifugio all’interno del quale tutto avviene e tutto si conserva ma dal quale tutte cercano di allontanarsi senza riuscirci mai. Le poche scene in esterni non riescono a dare sufficiente respiro al film che torna e ritorna sull’appartamento come un centro gravitazionale che attrae e imprigiona, al suo interno, il passaggio della vita. Solo la bara calata dall’alto, dalla finestra esterna, costituirà un punto di fuga prospettico rispetto alla geometria delimitata e opprimente della casa. Forse, in questo comune senso di ‘ trappola’ non siamo lontani dalla precedente opera della regista, Via Castellana Bandiera, (2013)che incastra all’interno delle macchine i personaggi con tutta la violenza del loro sentire.

Ma il legame delle sorelle Macaluso è destinato ad abbattere il rammarico e il reciproco senso di colpa per l’incidente, che segna in modo indelebile la vita di ciascuna, e le cui crepe interiori trovano una loro sintesi metaforica nell’immagine del piatto caduto per terra, i cui cocci vengono poi ricomposti. Per quanto sia forte l’impianto di scrittura della pièce teatrale, si nota la fragilità della resa cinematografica in scelte che vanno dall’interpretazione delle attrici ai limiti dell’overacting, dal sovraccarico delle architetture di interni all’eccesso decorativo della scena. Nonostante alcune scelte poco convincenti, resta un’opera coraggiosa che oltrepassa i limiti dei generi e conserva una grande potenza espressiva.

Chiara Rapisarda