18/01/2020
Madre di Rodrigo Sorogoyan

Elena è all’interno di un appartamento in Spagna con la madre quando le arriva la telefonata di suo figlio, un bambino di 6 anni, andato in viaggio con il papà in una località balneare francese. Durante la telefonata il figlio di Elena le manifesta le sue preoccupazioni: il padre si è allontanato lasciandolo da solo in una spiaggia isolata; insieme a lui solo l’infinità del mare. E quando un uomo sconosciuto gli si avvicina Elena non può far altro che gridare al figlio di correre, correre il più lontano possibile. Batteria scarica. Fine.
L’incipit di Madre è la costruzione di un climax crescente di paura, tensione e forte angoscia. Un’ascesa veloce ed improvvisa all’interno di quella paura arcaica nel cuore di Elena che la porta a muoversi come una scheggia impazzita in preda al panico aggrappandosi all’unica speranza che la collega ancora a suo figlio: un telefono.
Un prologo che conduce lo spettatore allo sviluppo della narrazione, al racconto della vita della donna dieci anni dopo quell’episodio che ha stravolto la sua vita. Adesso Elena ha 39 anni e si è trasferita in Francia in una località in riva al mare. Le lunghe passeggiate durante le quali osservare i volti di chi la circonda nella speranza di ritrovare suo figlio, la porteranno all’incontro con il giovane Jean, un ragazzo di 16 anni col quale la donna instaurerà un rapporto ambiguo tra il bene materno e l’attrazione sessuale.
Madre è un’opera intima nella quale Sorogoyan riesce a esprimere sentimenti complessi e temi importanti, in primis quello dell’abbandono, attraverso la profonda interpretazione di Marta Nieto.
Giulia Sterrantino