01/12/2019

AD ASTRA di James Gray

In un futuro prossimo venturo, sulla Terra si verificano delle improvvise e forti scariche elettriche dovute a uno strano campo magnetico provenienti dallo spazio e minacciano il pianeta. Al maggiore e pilota statunitense Roy McBride (l’attore Brad Pitt) viene affidato il compito di intraprendere un viaggio per risalire all’origine di quel fenomeno, la cui responsabilità viene attribuita a una precedente missione scientifica, chiamata “progetto Lima”, che aveva il compito di ricercare forme di vita intelligenti extraterrestri. 

La spedizione era stata intrapresa anni prima dal padre di Roy, un importante astrofisico (l’attore Tommy Lee Jones). Della missione si erano perdute le tracce e lo scienziato era stato dato per morto. Però alcuni strani segnali radio intercettati dai radiotelescopi ipotizzano che il padre sia ancora vivo da qualche parte, in prossimità del pianeta Nettuno. L’astronauta affronterà un viaggio pieno di insidie e di segreti, nel quale compirà anche atti di ribellione pur di scoprire la verità su suo padre. Un viaggio che avrà come tappe dapprima la Luna e poi Marte, ormai colonizzata, che farà da trampolino di lancio verso il più lontano pianeta del Sistema solare.

Il regista James Gray, riprende un po’ il filo del suo precedente film “Civiltà perduta” (2016) che ha come tema il filone dell’avventura conradiana (“Cuore di tenebra”, ovvero la ricerca del colonnello Kurz in “Apocalypse Now”) metafora del viaggio che è ricerca interiore di sé, l’uomo che si confronta con la propria solitudine e il proprio desiderio di onnipotenza. Ma, nonostante le atmosfere ben rese dalle luci affascinanti di Hoyte Van Hoytema e dalle musiche di tensione di Max Richter, il film lascia pochi momenti da ricordare: il prologo, con un pauroso incidente su un’altissima stazione radio. Un attacco di pirati sulla Luna su “rover” che inseguono una carovana di veicoli in movimento verso la piattaforma di lancio (dedica ai western tipo “Ombre rosse”).

Nella seconda parte l’incontro con il padre ha il suo compimento, ma ragione e follia sono i soliti cliché filosofeggianti; nemmeno l’ingegnoso salvataggio finale di Roy risulta plausibile. James Gray strizza l’occhio a “First man”, Kubrick, Malick e Nolan. La morale è che solo l’amore delle persone che ci stanno vicino ci fa sentire meno soli. Il risultato può essere godibile, ma non all’altezza delle aspettative.

Andrea Curcione