02/10/2019

Blanco en blanco di Theo Court

Nella "terra del fuoco" del Cile di inizio '900, il fotografo Pedro viene ingaggiato da un proprietario terriero di nome Porter, per scattare delle fotografie al suo matrimonio. Il signor Porter non vuole mai comparire, ma Pedro viene catturato dalla bellezza della sua sposa, ancora una bambina, che diventa il soggetto preferito delle sue fotografie. Quando però il matrimonio viene rimandato, Pedro si ritrova senza un impiego e per sopravvivere è costretto ad unirsi alle spedizioni per sterminare la popolazione indigena dei Selknam, abitante di quei luoghi. Le inquadrature utilizzate dal regista Theo Court nel film sono spesso quelle della macchina fotografica di Pedro, e, negli altri casi, ricordano delle fotografie, dove ogni singolo dettaglio conta.

Questo aspetto originale del film è stato premiato dalla mostra, che ha riconosciuto al film il premio Orizzonti per la miglior regia. Nel corso del film si può notare un'evoluzione nei soggetti delle fotografie, si passa dai ritratti della sposa bambina, candida e innocente, alla brutalità dello sterminio delle popolazioni indigene, dove però Pedro riesce a trovare arte anche nell'orrore della morte, diventando un testimone, quasi apatico, di un massacro che porterà alla conquista del Cile da parte degli Europei. La scena più toccante e, allo stesso tempo tragica, del film è infatti quella finale, dove Pedro mette in posa i soldati e i corpi senza vita degli indigeni per un ultimo scatto, artisticamente bellissimo, ma umanamente straziante.

Un elemento che accomuna tutto il film è il colore bianco, come dice il titolo, bianco è il colore della sposa, bianca è la neve che copre i paesaggi cileni, bianco è il colore che, insieme al nero, Pedro deve bilanciare per scattare la sua foto in maniera perfetta.

Emma D’Este