12/09/2013

Miss Violence di Alexandros Avranas

Un estetica della follia, sembra essere la cifra caratterizzante del film Miss Violence. Il regista greco Alexandros Avranas mette in scena una tragedia famigliare incestuosa nella quale, la simmetrica composizione delle immagini, bianco livide, accompagna lo spettatore all'interno di una grottesca condivisione della pazzia.
La storia si apre con il suicidio di una ragazzina tristissima nel giorno del suo undicesimo compleanno, inizialmente le motivazioni sembrano legate a qualche crisi adolescenziale, ma la rigidità con la quale viene accolta la notizia dalla famiglia e dal contesto che la circonda, ci insinua subito il dubbio che qualcosa non funzioni bene.
Un mondo di regole rigidissime, sanciscono il confine claustrofobico nel quale si dipana la quotidianità dell'inconsueto gruppetto famigliare, nel quale il nonno-despota si rivela essere anche padre il padre biologico di tutte le figlie. E questo nonno/padre che costringe le figlie che hanno compiuto gli undici anni, a prostituirsi; si rivela progressivamente una sorta di orco che riflette peraltro una società anaffettiva strutturata sul compiacimento di una sorta di “estetica del controllo” che alla fin fine appare condiviso.
Il film procede scandito appunto dall'incombenza della geometria delle immagini che rivelano il carattere di esseri ad “una dimensione” in questi personaggi che agiscono in virtù di una predestinazione che ha tutti gli elementi caratteristici della tragedia greca.
La storia appare senza sbocco fino a quando il nonno infrange una regola decidendo di prostituire anche la più piccolina delle figlie ancora bambina. A questo punto la nonna, anche lei da sempre vittima dei soprusi dell'uomo, decide di  interviene uccidendolo e sancendo così immediatamente il controllo sul piccolo clan.
La frase finale “chiudi la porta” che la donna dice alla figlia, sembra annunciare una rinnovata libertà matriarcale, ma il tono duro con la quale viene pronunciata, non può che lasciarci sospesi in un finale ambiguo.

Sarah Revoltella