02/10/2019

A Marriage Story: il filo invisibile dei legami

Noah Baumbach si presenta alla 76. mostra del Cinema di Venezia con un’opera intimamente emotiva in cui l’incipit si ricongiunge al finale attraverso una lettera d’amore. Perché l’amore, malgrado tutto, sta alla base dell’intero percorso filmico, costruito secondo un accurato climax di destrutturazione emotiva e umana. I protagonisti della storia: Nicole (Scarlett Johansson) e Charlie (Adam Driver) interpretano le fasi di un rapporto ormai alla deriva.

Salta subito all’occhio il modo con cui Baumbach affronta la tematica del divorzio, ovvero attraverso costanti e delicati dettagli del quotidiano. Un quotidiano che resta inciso nei gesti fino alla fine, anzi, proprio alla fine, quando possiamo nuovamente coglierlo nella spontaneità di Nicole che si china, con una commovente e ritrovata tenerezza, per allacciare le scarpe di Charlie. Non è un caso che il regista inserisca proprio il motivo del laccio per chiudere il cerchio; il filo invisibile di un legame consolidato, logorato dal tempo e risanato dopo la sua effettiva conclusione. Così come non è un caso la propensione bergmaniana di “Scene da un matrimonio”, citazione cosciente e dichiarata, che porta Baumbach a scavare fin nel più piccolo recesso delle espressioni dei due attori, in un passaggio progressivo dai primi piani iniziali ai corpi immersi nel paesaggio urbano, sempre più distanti ed estranei tra loro.

L’indagine sentimentale si alterna con quella processuale, in cui i rispettivi avvocati, quasi proiezioni manifeste di ciò che i protagonisti sentono di essere nella parte viscerale della loro esistenza, dibattono e scompongono pezzi di vita condivisa a scopo di vittoria giuridica, rendendo cinicamente pubblica una dimensione privata.
Il mosaico di ‘attimi’ trova la sua linfa vitale in una sceneggiatura stracolma di dialoghi e duetti, perfettamente ritmata e calibrata, che alimenta la dialettica psicologica rivelando quello che è il fantasma complesso di sentimenti rabbiosi e distruttivi che raggiungeranno il loro apice nel punto di crollo della magistrale sequenza nell’appartamento di Charlie. L’esplosione del personaggio, stimato regista teatrale newyorchese calmo e autorevole, permetterà un ribaltamento dei ruoli: nello spazio nudo e nell’abbraccio catartico, egli rinuncia e si libera.

Nicole, d’altro canto, trasforma la sua fragilità e dipendenza da Charlie in forza e autonomia che le permetteranno di ’sentire’ la propria voce, la stessa che all’inizio del film, non le consente di leggere la lettera scritta per Charlie sotto consiglio della terapeuta; lettera che sarà, poi, il figlioletto a far ascoltare per la prima volta al padre. Il senso di competitività costituisce una chiave di lettura ed è già evidente dall’imposizione in maniera narcisistica da parte di Charlie nello stabilire la città in cui vivere, la scelta del costume di Halloween per il figlio, le dinamiche d’impostazione quotidiana; un egoismo apparente che ben presto lascia spazio al desiderio di riconciliarsi con la vita attraverso la bellissima scena di canto nel bar di New York, per accettare una nuova condizione fatta di compromessi. I piani alternati di episodi tragi-comici indicano la necessità che il regista avverte per esplorare le reazioni umane dinanzi a situazioni estreme e i limiti della vita stessa. L’imprevedibilità è il cerchio che si ripercorre infinite volte fino a spezzarsi, ma non del tutto, mai in definitiva.

Chiara Rapisarda