09/12/2018

22 July  di Paul Greengrass

Nei film che lo hanno reso noto al pubblico e che ne hanno resa riconoscibile la tecnica, come Bloody Sunday e United 93, Paul Greengrass ha sempre ricreato fedelmente e quasi con occhio giornalistico ogni sfaccettatura e dettaglio di eventi tragici ma miliari che hanno caratterizzato la storia di una nazione o di un popolo. Eppure, in questo 22 July, che traspone sullo schermo i tragici eventi accaduti in Norvegia il 22 luglio 2011, quando l’estremista di destra Anders Behring Breivik massacrò dei giovani militanti del Partito Laburista sull’isoletta di Utøya, le scene del massacro e della sua preparazione occupano soltanto la prima mezz’ora di film.
Nelle due ore seguenti il cineasta britannico sostituisce la sua proverbiale shaky cam e le sue adrenaliniche e frenetiche scene d’azione con lunghe riprese a camera fissa e con molti dialoghi lenti ed introspettivi. Con il climax risolto nei primi minuti, il film prosegue quindi con un ritmo insolitamente lento, che riesce però a rendere ancora più efficace la narrazione di un evento di tale portata, delle sue implicazioni e dei suoi effetti su una comunità, sia essa piccola come una famiglia o grande come uno Stato.
La pellicola si concentra infatti sia sulla storia di un giovane sopravvissuto menomato sia fisicamente che psicologicamente dall’attentato, che vede distrutta la sua illusione di un’umanità buona e caritatevole, che su quella di un intero Stato, la Norvegia, in preda alla più tremenda incredulità di fronte ad un evento così tragicamente insensato e crudele, con le autorità, siano esse il Primo Ministro Jens Stoltenberg o un semplice magistrato, in cerca di una risposta che sanno di non poter mai capire ed accettare.
Il peso del fatto grava su tutta l’opera, nelle testimonianze e nelle reazioni dei molti personaggi che vengono interpellati, fra cui anche l’attentatore stesso, Breivik, che appare per tutto il film come qualcosa di difficile interpretazione, forse la personificazione di un male antico ed inesplicabile, il cui risveglio costituisce per uno Stato così profondamente democratico come la Norvegia motivo di terrore. Ecco che quindi Greengrass riesce a far intuire il vero scopo e missione di Breivik: quello di diffondere e spargere paura, così da far rinnegare ad uno Stato così come ad un popolo i suoi principi civili e democratici in favore di uno stato e di un desiderio di vendetta e di rivalsa istintuale, che porterebbe tutti allo stesso livello ed allo stesso pensiero dell’attentatore.
Sono quindi importanti le scelte e le azioni dell’avvocato (laburista) di Breivik, che decide di soffocare i suoi impulsi ingiusti anteponendo loro la fiducia nella giustizia e la difesa dello stato di diritto, unici mezzi per sconfiggere gli estremismi. In uno stato in cui vigono paura ed istinti, infatti, le idee di Breivik trovano terreno fertile, come afferma spavaldo il capo dell’associazione di estrema destra di cui il terrorista faceva parte, che viene dipinto dal film come ancora più pericoloso e malvagio dell’attentatore stesso, poiché, chiamato a testimoniare in sua difesa, invece di approvare e di sostenere le sue idee ed azioni, che subdolamente condivide, decide di rinnegarle, così da poter continuare indisturbato nel proselitismo e nella diffusione della paura. “Il futuro ci appartiene”, asserisce sempre costui, in un’affermazione che è un monito per questo confuso presente.

Pietro Luca Cassarino