25/09/2018

Napszállta – Sunset  di László Nemes

Dopo l’enorme ed unanime successo della sua opera prima, Il figlio di Saul, vincitore a Cannes, agli Oscar ed ai Golden Globes, László Nemes si permette di osare con un’opera decisamente più ambiziosa e rischiosa, che richiede di più da sé stessa e dal pubblico.

La premessa del film è intrigante e coinvolgente: nella Budapest seconda capitale di un Impero Austro-Ungarico apparentemente ai suoi massimi fasti giunge spaesata la giovane Irisz Leiter, discendente di una ricca famiglia di cappellai caduta in rovina, con la speranza, dopo un lungo tirocinio a Trieste, di trovare lavoro nell’azienda un tempo di proprietà dei suoi genitori, deceduti causa un incendio scatenatosi all’interno della stessa cappelleria. Lì giunta, apprende però dall’austero nuovo proprietario Oszkar Brill dell’esistenza di un fratello, Kalman, di cui non aveva mai sentito parlare, accusato dell’omicidio di un facoltoso e rispettato conte. Durante la sua ricerca per ottenere spiegazioni, la giovane Irisz si renderà conto che niente è come sembra e che le sue certezze, un tempo ferree convinzioni, si reggono, come d’altra parte lo stesso Impero, su piedi d’argilla.

Questa mistery story profondamente metaforica e forse fin troppo criptica è riuscita, a Venezia, a polarizzare nettamente il pubblico, da chi l’ha considerata un lunghissimo polpettone inconcludente e pesante, a chi ne ha lodato ogni aspetto, dalla regia, alla recitazione ed alla fotografia. Di sicuro è grande l’ambizione del giovane regista, che si propone di trasporre sullo schermo l’interezza dei temi e dell’atmosfera di una folta letteratura centro-europea della metà del secolo scorso che, da Joseph Roth a Stefan Zweig, spesso con metodi molto diversi, ha cantato la finis Austriae, il trauma causato dalla caduta di un mondo e di un modo di vivere, una rivoluzione non solo politica ma profondamente sociale e personale.

Nemes, mascherando il suo film da thriller, riesce a catturare e ad interpretare personalmente questi temi, seguendo la sua protagonista in una lunga epifania e nella sua realizzazione che l’equilibrio che credeva scontato non esiste più e forse non è mai esistito, e che, sotto la superficie di un mondo quasi idilliaco si nascondono germi occulti e inenarrabili. La perdita definitiva di questo illusorio equilibrio porta al progressivo sfaldarsi del tessuto sociale e civile, con una violenza quasi inspiegabile che comincia ad aleggiare ed a spargersi nella calma capitale ungherese, anticipando e ponendo così le basi per la Grande Guerra che si sarebbe scatenata da lì a qualche anno.

Il regista porta perciò gli spettatori in un viaggio allucinante ed allucinato, visto dagli occhi stravolti ed increduli della protagonista, la bravissima Juli Jakab, che la macchina da presa segue in lunghi piani sequenza. L’inquietudine presente per tutta la durata della pellicola è sottolineata anche dall’ottima fotografia di Matyas Erdely, che preferisce per le scene una continua tonalità rossastra, che richiama alla mente il tramonto, in questo caso dell’Impero, e del fuoco che inghiotte i vecchi palazzi e le vecchie certezze.

Un film consigliatissimo, che riesce, quasi con la stessa maestria dell’Haneke de Il nastro bianco, non a far vedere la violenza, ma a farla intuire, cercando di dare una spiegazione agli eventi sanguinari che avrebbero caratterizzato il XX° secolo.

Pietro Luca Cassarino