27/12/2017

Sweet Country di Warwick Thornton

In un’Australia di inizio ‘900 Warwick Thornton, regista di origini aborigene, dirige un western apparentemente non convenzionale. Sam schiavo aborigeno, vive e alleva bestiame nella tenuta dell’Inglese Fred. Tutto procede abbastanza bene fino all’arrivo di Harry, ex soldato ancora impregnato di odi e rancori della guerra. Harry che spesso si attacca alla bottiglia, sfoga la sua rabbia contro Fred che per difendere sua moglie Lizzie compie un gesto estremo. Questa sua azione lo costringerà ad una lunga fuga attraverso i territori sconfinati australiani, inseguito dall’accanito sceriffo e da alcuni uomini del paese.

Thornton gira un western politico dove difficile è non schierarsi dalla parte del regista. Al posto di restare imparziale il regista giudica e porta il pubblico in una direzione troppo evidente: non viene proposta una riflessione ma bensì uno schieramento. Rimangono così solo dei grandi paesaggi sconfinati, oggettivamente belli, metafora del paese ma contaminati da una narrazione sbilanciata fin dalla prima inquadratura.

Un western con ambizioni autoriali ma che non aggiunge nulla di nuovo. Il ritmo dilatato e la narrazione talvolta frammentaria alternata da flashback e flashforward sono tentativi del regista di far emergere quel qualcosa in più che invece rimane celato sotto la barba dei cowboy australiani (tra cui citiamo Sam Neill ex Jurassic Park). Una narrazione canonica che tenta di mettere in evidenza l’ambizione politica e autoriale del regista. Ne escono così solamente spari, brandelli di carne, deserti sconfinati e polvere, sotterrando inevitabilmente il tentativo del regista di fare un western non convenzionale.

Sergio Floriani