24/11/2017

Angel Wear White di Vivian Qu

Battezzata in occasione della 70a edizione del festival con Trap Street, Vivian Qu ha scelto nuovamente la kermesse veneziana per presentare Angels Wear White – titolo originale Jia Nian Hua – , racconto di formazione sullo sfondo di una Cina contemporanea che sembra aver perduto la bussola.

La donna delle pulizie Xiaomi – Wen Qi – è l’unica in possesso delle registrazioni in grado di incriminare per stupro il signor Liu, che con due bambine al seguito ha pernottato nell’albergo in cui lei lavora. Le indagini prendono il via mentre le giovanissime vittime (?), Xiaowen – la sorprendente esordiente Zhou Meijun – e Xinxin – Zhang Xinyue – si trovano ad affrontare i propri genitori. Nel tentativo di ricavare qualcosa da questo scandalo, nessuna delle parti in causa si farà troppi scrupoli.

Senza ricorrere a patetismi, Qu mette in scena un dramma cerebrale eppure essenziale, in cui nessuno potrà dirsi innocente. A far da contraltare alla placida località marittima di Xiamen e alla giovane età delle protagoniste vi sono le psicologie di quest’ultime, protese verso il conseguimento del piacere immediato per mezzo del denaro e di ciò che può procurarlo – sesso in primis.

Non possiamo però sapere cosa quella notte sia realmente accaduto: attraverso il punto di vista di Xiaomi, si apprende solo che Liu si è introdotto nella camera delle ragazzine. Fino all’ultimo resta quindi valida l’ipotesi del ricatto, dal momento che Xiaowen e Xinxin probabilmente hanno perduto la propria innocenza già da tempo.
L’incanto prodotto dalla regia di Qu, che con movimenti di macchina appena accennati riproduce il fluire di vite insignificanti, si scontra con la crudezza della vicenda. Non è una storia di femminilità violata, ma di come le prerogative di genere possano indurre in inganno. Nonostante la supposta subordinazione delle donne nella società cinese, saranno proprio loro a tirare le fila dell’intrigo.

Giovanni Stigliano Messuti