05/11/2017

Suburbicon  di George Clooney

George Clooney ha in progetto di candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti? Qualunque sia la risposta, Suburbicon sarebbe un ottimo trampolino di lancio. L’ultimo film diretto da Clooney infatti, è un thriller che politicamente analizza e condanna la società americana attuale, gettando ombre e critiche sulla morale dei cittadini che hanno votato, ed eletto, Trump. Critica non celata, l’opera si basa su una sceneggiatura scritta negli anni ‘80 dai fratelli Coen, che Clooney ha riscritto, modificando e aggiungendo alcune parti, o addirittura intere vicende.

La dark comedy affronta le bugie che si nascondono dietro la scintillante e accecante facciata di una cittadina americana anni ‘50 e ai suoi abitanti, tutti troppo preoccupati dall’arrivo di una famiglia di neri, più che dal crescente tasso di criminalità della propria terra. Matt Damon interpreta un padre di famiglia e svolge un lavoro sul proprio personaggio abbastanza diverso dal solito, se infatti egli usualmente veste i panni dell’impacciato e sfigato uomo medio borghese in conflitto con una realtà a lui avversa, qui è lui a generare la realtà avversa della quale si circonda. Ad interpretare la moglie e al tempo stesso la sorellazia troviamo Julianne Moore, che nella doppia versione (mora e bionda) non può non rievocare per analogia Kim Novak. Il vero protagonista della vicenda è tuttavia il piccolo Nicky, vittima e puro osservatore delle nefandezze umane, incarna lo spirito di rinascita del popolo americano secondo Clooney, un popolo che nonostante il proprio vissuto, riesce ad andare avanti e stringere la mano al futuro e al prossimo, indipendentemente dal colore della pelle.

Il film mantiene per tutta la sua durata un ritmo costante che ricorda i lavori dei Coen, specialmente del loro primo periodo; infatti sembra che Clooney abbia registicamente ereditato il loro stile per non azzardare più di tanto e veicolare il proprio messaggio sociale attraverso una struttura già costruita e apprezzata dal grande pubblico. Sebbene alcune trovate risollevino le sorti del film, molte volte si rischia di sfociare nel grottesco e nel superfluo, caricando alcune scene di atmosfere surreali che ci costringono a chiederci se non fossero risparmiabili. Bisogna infine sottolineare la prova attoriale di Oscar Isaac che interpretando un detective al servizio di una società di assicurazioni e mostrandosi sul grande schermo solo per pochi minuti, riesce a creare una sorta di ponte tra la realtà che il film descrive e la realtà che siamo abituati a percepire, una sua candidatura all’Oscar è senz’altro ipotizzabile.

Daniele Sartorato