22/10/2017

Martyr di Mazen Khaled

La pellicola del regista libanese Mazen Khaled, sviluppata nell’ambito del Biennale College della 74° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, nell’esplorare le fratture sociali e l’influenza religiosa nella vita delle nuove generazioni della Beirut islamica, ci restituisce, in 84 minuti, la fiamma di una giovinezza consegnata troppo presto al fuoco fatuo del martirio.
Hassanne, disoccupato, ha vent’anni e due genitori che ne minano quotidianamente l’ego, desiderosi di darlo in ostaggio al sogno del “posto giusto” simil occidentale. Agli occhi del protagonista la realtà appare compromessa, coperta dal velo degli ideali impossibili, che ne filtrano la luce rendendo tutto irrilevante, a cominciare dalla propria vita, dal proprio corpo e dalle leggi fisiche che ne determinano la provvisorietà. Dopo l’ennesima lite domestica, nel bel mezzo di una gara di tuffi al mare in compagnia dei suoi amici, decide di tentare quel virile salto nel vuoto mai osato prima. Hassanne decide di porre in essere l’unico atto di eroismo possibile in quella condizione di inutile attesa e di disperata mediocrità? Cede forse alla nenia di una consacrazione indolore (la morte per annegamento, secondo i dettami della religione musulmana, è concepita come forma di martirio) e alla consapevolezza dell’incapacità di avviarsi verso un futuro socialmente riconosciuto?  

Il film presenta molti pregi, soprattutto di natura tecnica ed estetica, ma pecca più volte di ingenuità nella sceneggiatura (sovraccaricata da rimandi a simbologie ormai vetuste). Pur suggestionando visivamente cede spesso il passo all’autocompiacimento da esordio che si ferma alla forma ostentata, senza approfondirne la sostanza. Un potenziale in parte sprecato che ci auguriamo venga espresso più compiutamente in futuro.

Annarita Mazzucca