02/10/2017

Outrage: Coda di Takeshi Kitano

La trilogia con cui il maestro Takeshi Kitano dichiarava di concludere con lo yakuza-eiga giunge finalmente a compimento con il terzo capitolo, non scostandosi dalla falsariga dei precedenti. Otomo, ora ritiratosi in Corea, ora al servizio del faccendiere Mr. Chang (già visto in Outrage: Beyond) recita il suo consueto ruolo della scheggia impazzita inserendosi in una guerra civile interna al clan Hanabishi a Osaka.

La saga di Outrage ha fatto storcere il naso ai più puristi tra gli estimatori del regista, per la sua vena commerciale e pop, rispetto ai quadri disincantati che era solito firmare, ma con Coda la risposta del giapponese è più che esplicita.

L’oltraggio termina naturalmente perché il film perde la sua anima, in maniera totale e definitiva; nessuno rispetta più non solo l’istituzione yakuza, con il suo rigido sistema di codici e simboli, ma il concetto di uomo che c’è dietro. Otomo è così pericoloso perché è la rappresentazione fisica e carnale di tutto quel nichilismo che la guerra tra Sanno e Hanabishi aveva come scopo ultimo seppur inconsapevole. L’oltraggio consumatosi verso le tradizioni si riversa, traboccando, su tutto lo spazio cinematografico travalicando la realtà malavitosa per raggiungere quella quotidiana. Outrage segna sì la perdita dell’anima di Kitano in un suo film, ma questo è un processo che fa da cuore pulsante a tutte e tre le opere.

In un mondo fatto di dialoghi e complotti, magari non troppo semplici da seguire, inoltre, per i meno kitaniani tra gli spettatori, Otomo è del tutto estraneo a quelle logiche, essendo piuttosto un nulla che avanza, mortifero perché imprevedibile, alieno nonostante la vecchia scuola dei suoi modi di ragionare: siamo dinanzi al prodotto del vuoto contaminante che si oppone al caos tecnicistico che la mentalità “neo-toyotista” produce di contro alla salvaguardia per il lato umano che il tradizionalismo rappresentava, pur con i suoi pesanti limiti.

Otomo è una minaccia così mastodontica perché è l’unico che ha capito di essere così minuscolo da essere insignificante di per sé, come un virus che distrugge un corpo umano. Il corpo-yakuza-società è corrotto e spiana la strada, se non lo produce direttamente, al suo stesso boia. Non a caso il finale cita Sonatine, con la proverbiale scena della pistola alla tempia, in un’esplosione di emozionalità che con Outrage andava cassata. Il suicidio arriva, e segnerà una nuova epoca del cinema di Kitano, con la morte di Otomo si conclude una fase che non è stata certo la migliore del regista nipponico ma sarà senza dubbio la più significativa.

Alvise Mainardi