15/11/2016

ANG BABAENG HUMAYO (THE WOMAN WHO LEFT) di Lav Diaz

Il 58enne regista Lav Diaz (diminutivo di Lavrente Indico Diaz) è considerato, insieme al cineasta Lino Brocka, tra i padri ideologici del nuovo cinema filippino. Diaz ha sempre cercato di descrivere la storia del suo paese utilizzando nuove strade del film di genere. E’ conosciuto soprattutto per il suo stile filmico: la lunghezza dei suoi film e per i suoi interminabili piani-sequenza. Proprio per queste particolarità di forma è considerato dalla critica internazionale come uno dei più innovativi registi degli ultimi dieci anni.
Grazie alla passione da vero film-maker, ha sempre avuto il controllo diretto dei suoi lavori: suo è il soggetto e la sceneggiatura delle storie, la fotografia, il montaggio, la musica. Talvolta ha recitato personalmente nei suoi film. Come regista è stato una scoperta di Venezia, dove ha ottenuto riconoscimenti nella sezione Orizzonti per due anni di fila (Menzione speciale nel 2007 per “Death in the Land of Encantos”, della durata di 540 minuti, e premio Orizzonti nel 2008 per “Melancholia”, 450’) in seguito ha presentato i suoi lungometraggi in altri festival dove ha vinto altri premi: Pardo d’Oro a Locarno nel 2014 per “From What Is Before” (338’) e un Orso d’Argento a Berlino per “A Lullaby to the Sorrowful Mistery” (485’). Nelle sue pellicole Diaz affronta sovente il tema della sua patria attaccando spesso la repressione militare, la politica e la chiesa cattolica.
Anche la pellicola presentata in concorso a Venezia 73 dal titolo “The women who left” è ambientata nelle Filippine, nell’isola di Mindanao, in un momento storico particolare, il 1997, quando l’isola era diventata teatro di rapimenti e criminalità diffusa. Ispirato da un racconto di Tolstoj, “Dio vede la verità ma non la rivela subito” (tratto dai “Racconti contadini”) letto dal regista quando era ancora al college, la storia racconta di Horacia, un’ex insegnante di scuola elementare, che ha trascorso gli ultimi 30 anni in un carcere femminile con l’accusa di omicidio.  Nell’istituto di pena è benvoluta da tutti e conduce una vita tranquilla aiutando gli altri a leggere e scrivere. Poi, un giorno, un altro detenuto confesserà il delitto del quale era stata accusata. Horacia verrà improvvisamente rilasciata. Spaesata, in un paese cambiato e pericoloso, la donna andrà alla ricerca della sua famiglia. Tenterà di riannodare i rapporti con sua figlia e soprattutto cercherà suo figlio, del quale non ha avuto più notizie. Inoltre ha in animo di vendicarsi contro chi l’ha mandata ingiustamente in prigione. Durante il suo peregrinare conoscerà la miseria di una nuova società e un mondo di reietti e sfruttati nei quali convive però una sorta di solidarietà.
La pellicola ha i toni del romanzo e del melodramma ed è girata nel suo consueto stile, con lunghe inquadrature fisse senza primi piani, dove si avvale anche questa volta di un bianco e nero straordinariamente cromatico nel rendere la notte della città. Molto brava la protagonista, Charo Santos-Concio, attrice feticcio del regista, che con realismo e naturalezza esprime il dramma psicologico di questa donna che rappresenta il travaglio della vita del genere umano. A Venezia 73 il film ha vinto il Leone d’Oro e il Premio Sorriso Diverso Venezia 2016 Ass UCL come Miglior film straniero.

Andrea Curcione