02/11/2016

Hotel Salvation  di Shubhashish Bhutiani

Una Varanasi coloratissima, caotica, ricca di personaggi stravaganti e fuori dall'ordinario. Un figlio e un padre partono insieme in un viaggio on the road per raggiungere un hotel dal nome “Hotel Salvation”, mistico luogo che dà il titolo al film. L'hotel, come può suggerire il titolo, è riservato solamente a coloro che sentono di stare per lasciare la Terra per andare nell'aldilà. In questo luogo particolarissimo, tutti gli ospiti con una serie di riti e attività quotidiane mirano ad ottenere la salvezza dell'anima.
Padre e figlio sembrano non avere un rapporto stretto e a poco a poco il padre, Daya, comincia a trovarsi a suo agio nell'hotel, mentre il figlio, Rajiv, non vede l'ora di tornare a casa.
Il regista indiano, Shubhashish Bhutiani, al suo primo lungometraggio oltre a parlarci del tema della morte e del suo raggiungimento, in modo assai stravagante, partendo da un dato reale, poiché l'hotel esiste realmente, mette a confronto le vecchie e le nuove generazioni. Rajiv è sempre disturbato dallo squillo del suo cellulare e il padre, dunque, si sente trascurato e poco preso in considerazione, dato che spesso i loro momenti intimi vengono interrotti dalle chiamate del datore di lavoro di Rajiv. Inoltre i due sembrano avere un vecchio rancore che ostacola il rapporto: Daya ha vietato al figlio di seguire le proprie inclinazioni letterarie.
In un'India che incanta lo spettatore già con i suoi colori e le sue tradizione, e che è in trasformazione (esemplare è la chiamata su Skype che avviene tra Rajiv e sua figlia), il regista, cattura l'attenzione, poiché si sofferma sui rapporti, sul loro inclinarsi, sul loro nascere, e sul loro rafforzarsi. E anche se dall'inizio del film, lo spettatore è consapevole dello sviluppo e della fine della narrazione, Bhutiani mantiene un clima sereno e a tratti comico.

Paola Cosma