12/10/2016

Akher wahed fina – The last of us  di Ala Eddine Slim

Akher wahed fina – The last of us è il primo lungometraggio di fiction di Ala Eddine Slim, presentato alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia, nella sezione della “Settimana della Critica”.
Due sconosciuti arrivano dal deserto per raggiungere il Nord Africa e da lì l’Europa attraverso il Mediterraneo. Quando uno dei due viene catturato in Tunisia, l’altro, il protagonista, dovrà cambiare strada, e tenterà successivamente una traversata in solitaria, il cui esito porterà la sua vita verso esiti imprevedibili, come incontrare una copia “primordiale” di se stesso.
Akher wahed fina è un film delicato. Delicato perché non solo tratta di un tema molto sentito al momento, ma perché sfrutta tutte le possibilità del cinema per raccontare una storia che di politico ha il nucleo, ma che nelle mani del giovanissimo Eddine Slim diventa molto di più. Delicato perché pretende molto dallo spettatore, non avendo dialoghi richiede che tutta la sua attenzione si focalizzi sulle immagini del viaggio dello sconosciuto. La tragedia del Mediterraneo sconvolge gli equilibri geopolitici, e il protagonista è l’incarnazione di questo cambiamento: perso, solo, senza un linguaggio proprio.
Quando la sua barca affonda, non può far altro che aggrapparsi alla prima cosa che può salvarlo. Nel falso Eden in cui approda si riscopre, affronta se stesso, muore e rinasce come un uomo nuovo. L’unica possibilità secondo Eddine Slim, una completa rinascita: egli da preda (la caduta nella trappola per animali) diventa cacciatore e addestratore (genitore di se stesso), pronto per dare la vita a una nuova generazione di cambiamento.
In conclusione, non si può certo negare però che per un’opera prima (tralasciando Babylon, documentario del 2012) Akher wahed fina sia un film molto pretenzioso, ma Eddine Slim riesce a subordinarsi in quanto regista per dare vita a un film trasparente, capace di raggiungere senza problemi lo scopo prefisso, ovvero quello di indagare sulla questione migrazioni attraverso un viaggio quasi metafisico.

Alvise Mainardi